martedì 24 febbraio 2009

Il curioso caso di Benjamin Button

Regia: David Fincher
Cast: Brad Pitt, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Jason Flemyng, Julia Ormond
Genere: drammatico
Paese: Usa
Anno di produzione: 2008
Produzione: Warner Bros Pictures, Paramount Pictures, The Kennedy/Marshall Company

Dalla "curiosità" che un film del genere provoca, si passa, una volta usciti dalla sala, alla difficoltà di riassumere e catturare tutte le sensazioni che ha provocato. Specie per me, non abituata a fare recensioni, ma ci proverò.
In se la trama non sembrerebbe difficile, un bambino che nasce in un corpo da vecchio e viene abbandonato davanti ad un' ospizio, una madre adottiva che lo accoglie, e la vita di quest'uomo che conduce una esistenza “all'opposto”, ringiovanendo con il passare degli anni. La storia si srotola tra due eventi storici importanti, la fine della Grande Guerra e l’arrivo dell’ uragano Katrina in una New Orleans laboriosa e apparentemente abituata ai grandi cambiamenti.

I temi trattati sono, la guerra che si porta via le persone a noi care, la diversità, l’amore, l’abbandono, i sogni, lo scorrere del tempo, la vecchiaia e la morte.
Insomma, nulla che non sia già stato ampiamente trattato, ma con una narrazione alla quale non siamo abituati, con un ordine degli eventi completamente diverso. Lo stile narrativo tratta ogni evento in maniera piuttosto lineare, semplice e diretto. In un film dalle centinaia sfumature perfettamente assemblate in cui l’una non sovrasta mai un’altra per importanza o sensazione.

Ed è proprio questo che rende difficile la sua descrizione. Abituati a leggere messaggi più o meno criptici, guidati dall’impronta che il regista vuole dare, forse non siamo abituati ad uscire dalla sala con mille immagini, parole e simboli che trattano anche temi molto profondi, senza avere delle sensazioni preponderanti. Effetti speciali straordinari, fotografia sublime, attori bravissimi riempiono magicamente lo schermo per 166 minuti.

In definitiva è un capolavoro di narrazione, con una regia che si limita a leggere la trama senza alzare mai la voce, una storia molto piacevole a tratti anche divertente, forse un po’ lungo, ma d’altra parte si tratta di dover rafforzare la sensazione dello scorrere del tempo, con una fotografia davvero sublime e con effetti speciali che regalano a noi fanciulle la visione di un Brad Pitt da infarto.

Consigliato a tutte le persone che amano assimilare le sensazioni in
maniera del tutto privata e personale, estrapolandole tra le infinite offerte e con il sostegno di una magica fotografia ed effetti speciali.
Questo film offre a tutti voi la possibilità di non essere condotti ma accompagnati.
Mi limito a dirvi questo proprio per lasciarvi la più totale libertà e nel caso l’abbiate visto o vi prestiate a farlo allora sarei curiosa di scambiare sensazioni ed immagini con voi.
Sicuramente vi darà la possibilità di farvi una idea … poiché rileggendo ciò che ho scritto sopra non è che gli abbia reso giustizia, soprattutto mi sono come sempre incartata … ehehehe …. Boh sappiatemi dire!

lunedì 23 febbraio 2009

Storie di tende .... e dintorni.


Storie di tende … e dintorni.

Luoghi familiari, avvolti da una confortante staticità diffusa in seguito alla improvvisa perdita di qualcuno che ami.
Sì perché man mano che una casa si spoglia delle sue presenze, dei suoi affetti, tende a rimanere immobile, inerme, attenta a non violare ciò che è stato sino a poco tempo prima.
Un "museo" di monili e aninime impalpabile, impenetrabile.
E così rimane, in rispettoso silenzio, sino a quando la consapevolezza di un tempo che scorre, nonostante tutto, nonostante tutti, ti consente di apportare cambiamenti più consoni allo stato attuale dei fatti e degli affetti.
Ci si ritrova così da una parte a combattere con la sensazione che stai scalzando una presenza che non c’è più e dall’altra la necessità di provare a se stessi che la vita, sino a quel momento racchiusa sotto una campana di vetro, necessita di nuovo ossigeno.
Così sull’ultimo scalino di una scala, sospesi nel vuoto di un mondo, con un trapano in mano, una punta del 6 ad incidere un soffitto in cui ti appresti a montare una nuova tenda, osservi.
E mentre il rosso della polvere si adagia sulle mani tremanti, ti accorgi che il tuo impegno è andato ben oltre il semplice drappo che fa ora bella mostra di se alla finestra … sono piccole soddisfazioni … e qualcosa in più.

venerdì 20 febbraio 2009

"L'IO ALLO SPECCHIO"



Eccomi ancora qui, di fronte a me stessa, o meglio, a quest’immagine riflessa di me che ha la consistenza di una mera rete di particelle e segnali informatici codificati. Mi fa sorridere il pensiero che ciò che pretende di rendere il mio io sia talmente inconsistente da dipendere dalla corretta formulazione di un codice binario ... (01 111 001 010101) … un elemento inceppato del codice ed ecco che tutta la struttura si trasforma. Mi chiedo nell’eventualità in cui il meccanismo si inceppi se il mio io esploderà in mille pezzi, la mia immagine muti, si moltiplichi e la serie infinita di simulacri possibili danzi in silenzio come quando immergi gli occhi in un caleidoscopio. Oppure, più semplicemente apparirò come una parola sottolineata dal sistema di auto-correzione.
Se così fosse, se davvero fosse possibile entrare nel sistema, allora mi piacerebbe sciogliermi in lettere o in immagini, sapori e suoni e scorrere sempre giocando con la luce, con le prospettive, con gli scorci visuali.....sarei io, ma sarei sempre nuova. Questo almeno mi dispenserebbe dal continuo, impossibile tentativo di cristallizzarmi in un profilo.... troppo bidimensionale per i miei gusti.


Ho cercato molte volte di capire questo “rituale”, scrivere a se stessi di se stessi e renderlo pubblico (caro amico mi scrivo) e qualche idea me la sono fatta.

La motivazione più diretta che mi viene in mente è che scrivere di se stessi funge da auto-ritratto, mi “scrivo” o “descrivo” così da potermi idealizzare. Siamo talmente ricchi di sfumature e di volta in volta possiamo scrivere di noi facendo emergere l’uno o l’altro aspetto e questo a sua volta muta, come la creta sotto le mani di uno scultore, attraverso le parole, sino ad assumere una sembianza che probabilmente non ci appartiene del tutto ma che è un distillato del nostro io idealizzato.

Oppure la così detta “pratica confessionale” , un lettino virtuale dove stendersi e dove la sensazione confortante di uno psicologo viene superata da uno schermo dietro il quale ci troviamo, a debita distanza via via modificabile nei confronti dei nostri interlocutori. Quello che è certo è che alla fine rimane un senso d’incompiutezza, e la copia si dimostra per quello che è in realtà... una semplice pubblicità di sé stessi, il trailer del proprio io, lo specchio magico davanti al quale ci poniamo indica sempre altro.

Vogliamo parlare dell’ego smisurato in cui qualcuno si immerge per fare bella mostra di se nell’universo? In questo caso le motivazione che spingono a parlare di se sono due e l’una all’opposto dell’altra. La prima è che sono talmente sicuro di me, mi piaccio così tanto io, sono talmente simpatico, bello, colto che tutti devono sapere …. La seconda è che non sono per nulla sicuro di me, però tutto sommato ho sprazzi di autostima tale per cui sarebbe un peccato che altre persone non godano dei miei pregi.

Possono essere talmente tante le motivazioni che spingono una persona a parlare di se in un blog visibile a tutti … che lascio anche a voi, se lo volete, la possibilità di ricordarmene qualcuna.