giovedì 29 maggio 2008

La casa dei miei nonni



Complice la giornata uggiosa, i monoliti inzuppati di fieno che punteggiano la collina, l'odore di terra tormentata da lame che penetrano e lacerano, oggi dal mazzo dei miei ricordi è scesa una carta.
La casa dei miei nonni materni la sento fin dentro le ossa.

Casa di contadini, muri spessi e freddi, velati dalla fuliggine della stufa economica, unica fonte di calore fatta bastare per tutti gli ambienti.
Odore di legna e di sughi fatti bollire per ore, di mosto ed insaccati lasciati stagionare, di pane e rosmarino.
Ogni casa ha un suo odore, un'essenza che la caratterizza e se chiudi gli occhi puoi percepirla come se la stessi abitando.
La casa dei miei nonni possedeva questa commistione di odori, al passare delle stagioni si arricchiva sino ad esplodere.

Ad ogni fragranza sono legati chiari fotogrammi.
Quello che mi ha sorpreso oggi è la tavola sul cotto rosso, mio nonno seduto sulla sedia intrecciata di paglia, il viso nascosto dai grossi nodi scabri delle mani che sembrano i nodi di un albero, cerchiati dall'età e dalle intemperie.
Lo osservo, chiuso nei suoi silenzi, stropiccirsi la fronte con la mano, il sudore grasso, vecchio di ore, muoversi sulla pelle del suo naso.
E' un uomo cotto dal sole, bruciato dal passato, riarso dal presente.
Eppure, in quell'ostinato mutismo percepisco un'ombra che lo tormenta.
Volgo lo sguardo al di fuori della finestra, intravedo in lontananza, oltre le montagne, una nube densa e minacciosa, capisco allora che il suo sguardo cupo in realtà è un modo per prepararsi alla battaglia del vento e della pioggia che incombe sul suo lavoro, la stessa battaglia combattuta chissà quante volte.

Ma in quel torbido qualcosa è cambiato, un indedinito sentimento di impotenza lo pervade.
Deve fare tutto con lungimiranza, perché le sue vecchie gambe non lo reggono più come un tempo, bisogna muoversi d'anticipo, mettere al riparo quanto più possibile.

Resta immobile, assorto in una continua lotta interiore, a prendere coscienza che questa volta, con quelle nubi all'orizzonte, non ce la farà e più ci pensa e più teme che l'acqua anneghi il suo raccolto e lo porti lontano, oltre la sottile linea di orizzonte che ormai il suo sguardo riesce a tracciare.
In silenzio, rotto soltanto dalla pioggia che batte sui vetri una melodia in realtà molto più dolce di quel che temeva.
Apro la porta, mi affaccio sulla corte e mi sorprende una formica intenta a trasportare un unico chicco di grano, il solo arresosi al temporale.